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L’antico orto monastico di Monterosso

Immagine del redattore: The Lantern ClocheThe Lantern Cloche

"Ci illudiamo di poter sostituire una bellezza irripetibile e non recuperabile con un'altra creata da noi". (Papa Francesco, Enciclica "Laudato si")

Questa riflessione sorge spontanea passeggiando nell’antico orto del convento francescano di Monterosso che, tra i suoi terrazzamenti e i muri a secco, offre silenzio e tranquillità raccontando l’impegno con cui l’uomo plasmò i pendii scoscesi delle Cinque Terre per renderli vivibili e coltivarli: una dedizione che, per secoli, ha insegnato a prendersi cura del paesaggio e a rispettare le sue risorse.



Nel 1618, i frati cappuccini avviarono la costruzione del convento sui terreni donati dal parlamento locale per ringraziarli di aver messo fine ad annose controversie tra due belligeranti fazioni del borgo. I lavori durarono cinque anni e interessarono da subito anche l’impianto di orti ben coltivati in cui filari di viti si alternano ancora oggi ad alberi da frutto e ad aiuole destinate a virtuose consociazioni di erbe aromatiche, verdure e fiori. La mano umana è evidente ma a guidarla è sempre stata una virtuosa praticità e il risultato è pura armonia.


Richiamando alla mente le forme archetipe dell’hortus conclusus, l'orto si affaccia sul golfo contrapponendo l’ordine vigente al suo interno all’incommensurabile imprevedibilità della natura circostante che, al pari di primizie e prodotti stagionali, allieta chi si ferma nel convento spinto dal desiderio di cercare qualcosa dentro di sè.



Depositari per eccellenza di saperi erboristici e agronomici, i frati ortolani conoscono da sempre l’esperienza mistica e spirituale del chinarsi verso la terra per lavorarla: gesti quasi devozionali che generano rispetto e riconoscenza per chi si prende cura del luogo.


Nel piovoso marzo 2013, parte del seicentesco muro di contenimento crollò trascinando con sè una vasta porzione del giardino. L’impegno dei monaci non tardò a manifestarsi e, grazie a un’importante campagna di raccolta fondi, la generosità di migliaia di persone di tutto il mondo ha permesso di ripristinare quanto il maltempo aveva distrutto.


Questa ritrovata età dell’oro trionfa tra i colori caldi e i profumi del vecchio agrumeto - popolato soprattutto da limoni, cedri, pompelmi, bergamotti, mandarini, aranci amari e chinotti - allusivi al "meriggiare pallido e assorto" che Montale si concedeva durante i soggiorni nella poco distante villa di famiglia, dove scriveva versi immortali: “qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza, ed è l’odore dei limoni”.



Oltre a una porta in legno segnata dal tempo, una piccola terrazza affacciata sulle vigne permette di ammirare l'orizzonte infinito e notturni stellati, scanditi da quelle fasi lunari a cui già gli antichi davano molta importanza.


All’alba si innaffiano le piante dell'orto e inizia un nuovo giorno: si comincia col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile e, all’improvviso, ci si sorprende a fare l’impossibile.



( © DANIELE ANGELOTTI )

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