Il giardino come specchio del potere e scrigno di meraviglie: fu questa l’idea che, attorno al 1538, spinse il giovanissimo Cosimo I de’ Medici a trasformare l’area retrostante alla Villa di Castello in un capolavoro indiscusso del rinascimento fiorentino.
Al cantiere parteciparono alcuni dei più grandi artisti dell’epoca - quali Tribolo, Vasari, Pierino da Vinci e Giambologna - che, ispirandosi alla mitologia classica, diedero forma ad uno straordinario programma iconografico per celebrare il ruolo politico e le virtù del loro committente.
Alla tuttora presente Fontana di Ercole e Anteo, simbolo della forza di Cosimo I, faceva seguito quella della bronzea Fiorenza nell’atto di strizzarsi i capelli che, successivamente spostata nella vicina Villa della Petraia, connotava lo spazio centrale di un piccolo labirinto quale dimora ideale della bellezza divina, neoplatonico principio di tutte le cose.
Statue allusive alle quattro stagioni auspicavano un’idilliaca età dell’oro mentre nella misteriosofica Grotta degli Animali, tra zampilli e giochi d’acqua, il mito di Orfeo incantatore esaltava il potere pacificatore del futuro granduca di Toscana.
Ricche collezioni di agrumi, fiori e frutti completavano la scena riflettendo i profondi interessi botanici del padrone di casa e dei suoi successori. Ad uno di questi, Cosimo III de’ Medici, si associa il celebre Ortaccio: un piccolo giardino segreto dove, tra piante erbacee e officinali, è custodita una raccolta di gelsomini tra cui figura il profumatissimo Sambac, introdotto a Firenze all’inizio del Seicento e apprezzato da Cosimo III anche per aromatizzare la cioccolata.
Protagonista indiscusso di tale spazio è l’appariscente mugherino arrivato da Goa nel 1688 come dono del re di Portogallo Pietro II di Braganza. Dopo una prima fallimentare spedizione, si acclimatò benissimo nel Giardino dei Semplici di Pisa grazie alle attente cure del botanico Michelangelo Tilli e “come cosa rarissima fu trasferito alla Real Villa di Castello presso Firenze. Quivi fu gelosamente custodito con severa proibizione di darne a chi si sia dei nesti o dei margotti, perchè non fosse propagata altrove questa bellissima varietà di grossi e grupputi fiori”.
Per assicurare alle piante un adeguato ricovero invernale, Cosimo III fece appositamente realizzare la serra riscaldata detta Stufa che chiude la parte alta dell’Ortaccio e, a fronte di tale premura, questa varietà dal fiore stradoppio prese il nome di Mugherino del Granduca.
Ancora oggi, nelle calde giornate d’estate, la sua inebriante presenza fa riflettere su come il collezionismo botanico permettesse ai Medici di racchiudere mondi lontani nello spazio finito di un giardino, chiaro strumento di meraviglia ed eloquente testimonianza di quell’arte raffinata di cui l’Italia fu ambasciatrice per eccellenza in tutto il mondo occidentale.
( © DANIELE ANGELOTTI )
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