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Vernon Lee e "il cancello che non conduce da nessuna parte"

Immagine del redattore: The Lantern ClocheThe Lantern Cloche

Aggiornamento: 10 giu 2020


Ricordata da Edith Wharton come colei “che più di ogni altro ha capito e interpretato il fascino dei giardini italiani”, la scrittrice britannica Vernon Lee - pseudonimo di Violet Paget - fu tra i massimi promotori della loro riscoperta all’interno della ricca comunità angloamericana che, tra Ottocento e Novecento, scelse il Bel Paese come patria d’adozione.

Firenze, culla del Rinascimento, fu trappola fatale per collezionisti, letterati e artisti che vi si stabilirono nutrendosi della sua storia e destando la curiosità dei natives per lo stile di vita stravagante, spesso oltre il limite del bizzarro. I coniugi Berenson, gli Acton, i Ross e Charles August Strong furono tra i personaggi più illustri di questa colta ed eccentrica compagine che, come Vernon Lee, prese casa sulle colline appena fuori città.


Vernon Lee fotografata nel suo giardino fiorentino da Ernestine Fabbri, Archivio Drusilla Caffarelli Gucci

La loro stimolante frequentazione le assicurò spesso la compagnia ideale per viaggi lungo tutta la Penisola che ripagavano i disagi di certi spostamenti con il piacere di un turismo lento, perfetto per favorire quell’intimità spirituale con i luoghi rintracciabile nei luminosi quadri di John Singer Sargent, suo fedele accompagnatore in avventure alla scoperta di ville e giardini.

Indagandone la storia e le caratteristiche con lo sguardo del filosofo, dell’esteta e del poeta, Vernon Lee sviluppò una percezione metafisica di questi microcosmi. Complice silenziosa, ma autorevole, nel maturare tale visione fu Villa del Palmerino dove la scrittrice si era trasferita nella primavera del 1889. Nascosta tra uliveti e coltivi, affondava le sue radici nel Rinascimento e il piccolo giardino formale favoriva quotidianamente l’immersione nell’atmosfera necessaria per compenetrare l’anima arcaica del contesto, il genius loci, che vibrava nell’aria come il profumo dei fiori. Il clima locale non era molto adatto per le bordure miste, apprezzatissime dai connazionali anche per i consigli dispensati in quegli anni da Gertrude Jekyll ed Edwin Lutyens, ma non lesinava le gioie dei vasi: il basilico del Decamerone, garofani, gerani, zinnie, rose, gelsomini e conche di agrumi impreziosivano il disegno geometrico delle siepi di bosso.

Villa del Palmerino nel 1923, Archive James Owen

Evitando sfarzi fuori luogo, il giardino si fondeva armoniosamente con il paesaggio circostante ponendo alla base del bello ciò che la tradizione toscana vedeva come utile e produttivo. La campagna stessa diventava orto dell’anima e proprio qui, dove l’artificio umano si faceva meno evidente, Vernon Lee si interrogava sul senso dei giardini, fantasticando su storie immaginarie laddove edera e rovi riconquistavano gli spazi da cui per secoli erano stati banditi:

“non voglio dimenticare un altro tipo di vecchio giardino italiano, forse il più commovente - il giardino che ha cessato di esistere. Lo incontri in ogni strada principale o sentiero di campagna italiana; un pezzo di campo, verde tenero per il corto frumento d’inverno, marrone e arancione per gli scarti di granturco e i semi di sorgo d’estate, l’ampio sentiero d’erba che ancora racconta delle carrozze che un tempo vi passavano; una grande panchina di pietra, con un largo schienale a forma di conchiglia sotto i cespugli di rosmarino; e, di fronte alla strada, tra cipressi in ordine maestoso, un cancello in incantevole ferro battuto sta aperto tra la muratura decorata a voluta e i vasi vuoti, sotto il blasone coperto. Il cancello che non conduce da nessuna parte”.

Diversa fu la sorte del Palmerino che, venduto a privati dopo la scomparsa della scrittrice, non ha mai cessato di esistere ed è oggi una vivace residenza per artisti impegnata in iniziative culturali attente a preservare l’identità del luogo.



Si ringraziano per le fotografie Federica e Viola Parretti dell'Associazione Il Palmerino.


( © DANIELE ANGELOTTI )

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