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Cecil Pinsent e il giardino di Villa I Tatti

Immagine del redattore: The Lantern ClocheThe Lantern Cloche

Nel 1909, riferendosi al gusto paesaggistico in voga nel XIX secolo, Sir George Sitwell auspicava in An Essay on the Making of a Garden che “il mondo abbandonasse queste follie decadenti e si volgesse nuovamente, per trarne ispirazione, ai giardini tra gli alti muri verdi e antichi di un’età più felice”.


Non si trattava di una considerazione isolata ma del risultato di un lento processo di riscoperta del giardino formale italiano da parte della cultura angloamericana che, nello stesso anno, si palesò nei progetti commissionati a Cecil Pinsent dal critico e collezionista d’arte Bernard Berenson, e da sua moglie Mary, per trasformare un angolo di campagna fiorentina nel leggendario giardino di Villa I Tatti.


Aiutato dal bibliotecario Geoffrey Scott nell'interpretare la maniera all’antica, l'architetto riuscì a coniugare l’armonia rinascimentale alle moderne esigenze legate al vivere gli spazi aperti e, mediando tra caratteri tipici dell'architettura italiana e anglosassone, codificò uno stile perfettamente anglofiorentino. I lavori furono talmente onerosi da essere apostrofati da amici e parenti come “La follia dei Berenson”.



Il complesso, circondato da vigne, uliveti e alberi da frutto, comprendeva un edificio piuttosto semplice con giardino e limonaia. Pinsent lo ingentilì aggiungendovi la torretta dell'orologio e disegnando un nuovo parterre di bosso, ornato da fiori, conche di agrumi e statue. Lo Stanzone dei vasi, arricchito con cornicioni e urne baroccheggianti, diventò invece un inedito elemento di raccordo con lo spazio sottostante dove, per risolvere la pendenza del terreno, l'architetto si ispirò a celebri modelli cinquecenteschi - quali Villa d’Este a Tivoli e Palazzo Farnese a Caprarola - concependo un sistema di terrazzamenti in cui trionfa l'ars topiaria. Due eleganti peschiere chiudono questa scenografica composizione e introducono al boschetto di lecci, evocativo di antichi selvatici.


Mary Berenson si appassionò molto alle vicende del cantiere e vi partecipò fornendo schizzi e suggerimenti su come collegare i vari livelli attraverso scalinate in pietra, decorate da mosaici e imbrecciati, che descrisse come lunghe successioni di tappeti.



Sul lato sinistro della villa, un giardino pensile costituisce l'ideale prolungamento all'aperto della biblioteca, evocando armonie rinascimentali con bugnati, statue, mascheroni e con il bicromatismo brunelleschiano tipico della tradizione fiorentina.



In posizione più defilata fu ricavato l’apprezzatissimo flower garden, oggi coltivato a orto, in cui Pinsent adottò accorgimenti molto british:


“Il giardino da fiori si ricongiunge col giardino vero e proprio di stile, mantenendone, però, un accesso piccolo o nascosto. Nelle bordure di fiori lungo i muri, possono star bene dei fiori più sparpagliati. Ce ne sono molti che sono adatti, purchè siano messi insieme in gran ciuffi o in linee di un solo colore. I fiori che formano lo sfondo della bordura e che si appoggiano immediatamente ai rampicanti del muro dovrebbero naturalmente essere più alti, ma non più di circa un metro di altezza, e i colori dei fiori dovrebbero essere in armonia con i rampicanti”.



Nel 1959, l’Harvard University ereditò il complesso e vi aprì il prestigioso Centro Studi sul Rinascimento Italiano: grazie a continue attenzioni, il giardino è tra i meglio conservati di quelli progettati da Pinsent e condensa l'essenza del suo pensiero stilistico.



(© DANIELE ANGELOTTI )

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